RECENSIONE della trilogia di Tenebre e Ossa
Questa non sarà una recensione libro per libro. Sarà una riflessione sul perché penso che la trilogia di “Tenebre e Ossa” di Leigh Bardugo sia certo un’opera meno profonda e matura rispetto alla duologia di “Sei di Corvi”, ma decisamente apprezzabile. Ed essendo un’analisi conterrà degli spoiler, anche se appena accennati e generici.
La prima volta che avevo iniziato questa serie “Sei di Corvi” era uscito relativamente da poco in lingua inglese. Avrò avuto 16 anni quando l’ho presa in mano la prima volta e non mi stava piacendo. Ho riprovato con “Sei di Corvi” qualche tempo dopo. Inutile dire che mi è piaciuto molto. Ancora non era uscito “Regno corrotto”, ma ho deciso di riprendere la prima trilogia. In pochi giorni l’ho divorata.
Quella di “Sei di Corvi” rimane la serie che preferisco, in quanto comunque la ritengo gestita meglio per l’impianto narrativo e alcune scelte di trama, lo stile e il world building.
Ciò che amo davvero della trilogia
di “Tenebre e Ossa” è che va considerata più che altro nella sua interezza.
Prendere solo il primo libro o
solo il secondo non rende l’idea della capacità di Leigh Bardugo nel tessere archi
di sviluppo e crescita dei personaggi con un pensiero coerente che pochi
riescono a ideare e mantenere fino in fondo. Ed è questa la vera forza della
serie. Non tanto la narrazione, che a volte presenta degli escamotage un po’
deboli e più simili a quelle degli YA, ma la psicologia dei personaggi.
Veniamo al dunque.
Perché non ho amato la serie la
prima volta che l’ho iniziata? Il
problema principale era il tanto odiato, il tanto dibattuto Mal. Oltre a essere
una persona dipinta fondamentalmente come egoista ed egocentrica, veniva pure contrapposto
al Darkling. Molto più affascinante, molto più misterioso, che prestava molta
più attenzione ad Alina di quanta Mal gliene avesse mai data.
In più anche Alina devo dire che
mi urtava i nervi non poco. Un po’ rassegnata a se stessa, un po’ senza
autostima e poi improvvisamente inebriata dal proprio potere.
Sta di fatto che non sarà stato il
momento giusto, ma l’ho lasciato lì.
Qualche anno dopo lo ho ripreso ed è stato diverso.
Avevo cambiato idea sui
personaggi? No, non particolarmente. Alina? Da spiegarle due cosine. Mal?
Personalmente lo avrei mandato a quel paese nel giro di un minuto di
conversazione. Il Darkling? No comment.
Eppure…eppure li capivo di più.
Ogni personaggio, ogni scelta, azione o pensiero mi arrivavano in modo diverso.
La scrittura mi faceva rimanere profondamente frustrata per il carattere e le
decisioni di questi personaggi, ma allo stesso tempo mi sentivo di
giustificarli o di comprendere meglio certi atteggiamenti.
Man mano che leggevo, libro dopo libro, ognuno mi sembrava sempre più discutibile, alcuni più di altri; anche quelli secondari, per quanto mi sia piaciuta soprattutto Zoya, non si fanno certo tutti amare da subito; però anche questi hanno una loro crescita. E alla fine del terzo volume ho trovato che tutto combaciasse nel migliore dei modi.
Partiamo da Mal. Re incontrastato
delle pessime decisioni a livello personale. Assorto in se stesso per gran
parte della serie. Mal è un personaggio che non vede oltre il proprio naso e i
propri bisogni per gran parte del tempo. Ha un istinto protettivo nei confronti
di Alina che non capisce troppo bene nemmeno lui, ma ha difficoltà a gestirlo e
problemi a considerare le emozioni di chi gli è vicino. Lo trovo terribilmente
realistico. E alla fine si redime. Anzi, più che redimersi, semplicemente
cresce. E possiamo essere infastiditi da Mal per quello che è stato, ma allo
stesso tempo Leigh Bardugo riesce a convincerci di questa crescita attraverso una
scrittura per niente affrettata, calcolando bene i momenti in cui farla
percepire. In più è chiaro al lettore che la sua bussola si è sempre basata su
Alina e quando questa cambia, anche lui si sente di dover cercare un posto per
sé, mentre prima si sentiva definito dalla dipendenza e dal bisogno che Alina
nutriva verso di lui. Era il punto fermo che lo faceva sentire riconosciuto e
apprezzato.
Anche Alina penso sia un personaggio discutibile. Presentata come insicura e secondo me anche rassegnata alla sua vita, ma che comunque conserva un briciolo di speranza, incarna di sicuro molti pensieri adolescenziali e non solo: siamo abbastanza? Probabilmente no. Lo saremo mai? È bello sperare, ma meglio non farsi aspettative.
Quando finalmente scopre di avere quel qualcosa in più che voleva, quel qualcosa in cui sperava, che la fa sentire davvero se stessa e piena di potenziale…beh, ad un certo punto le dà alla testa. Non in maniera troppo evidente, ma molto in fretta fa scelte piuttosto negative con conseguenze ancora peggiori. Scelte molto immature; comprensibili, ma comunque immature. Alina è quel personaggio che nella scrittura classica pecca di Hybris e che ne soffre le conseguenze. È quell’eroe che pensa ad un certo punto di poter essere migliore di chiunque altro, perché rinchiusa per troppo tempo nell’idea di non essere e non valere niente. Ma anche lei presenta una crescita coerente e dolce-amara: di sicuro, simbolicamente, è punita per aver creduto di poter avere tutto, ma allo stesso tempo fa la scelta dolorosa di rinunciare a una parte di se stessa che ama profondamente, che le ha insegnato ad amarsi, e dovrà scoprire come apprezzarsi anche senza. Torna alle sue origini con una nuova consapevolezza e seppur nel lutto per la perdita di un qualcosa che la faceva sentire viva, forse imparerà ad apprezzare quell’Alina semplice che ha sempre disprezzato, ma che comunque ha molto da dare.
Il Darkling è quello che invece
non affronta davvero nessuna crescita. L’unica cosa che vede è il potere. Magari
ha delle intenzioni più o meno nobili, ma è un personaggio che si trova alla
fine del proprio percorso, mentre Mal e Alina sono all’inizio. Rappresenta poi
anche la forza opprimente e seducente del potere ed è proprio per questo che sono
convinta che per la Bardugo questa sia la rappresentazione di una relazione
tossica, possibilmente con un narcisista e manipolatore. Non cede alla
tentazione di inserire Alina in una relazione con l’ennesimo personaggio oscuro
e tormentato, che però alla fine si scopre fare cose terribili per il bene
dell’umanità, un personaggio capito davvero solo dalla protagonista, che lo ama
per questi suoi difetti e trova ragione di essere e parte di sé in questa
relazione. Non cede cioè a un trend molto in voga in quegli anni e che anche
adesso va per la maggiore, ma sta venendo stemperato. Anzi, dà una sua
tridimensionalità al Darkling, ma permette ad Alina di riconoscere comunque le
sue azioni come sbagliate, seppure una parte di lei continui a desiderare quel
potere e quella relazione con un suo apparente pari. L’allontanamento totale da
questo personaggio si ha con il definitivo tentativo di controllo su Alina che
rientra pienamente nella figura manipolatoria e narcisistica e che è un segnale
spesso (ma non sono un’esperta) di una relazione tossica (lusinghe alternate a
mortificazioni, colpevolizzazione, rendersi indispensabili all’altro eccetera).
Mal e Alina invece crescono insieme. Ognuno con la propria dose di errori, ognuno coi propri fantasmi e rimorsi. Ognuno capendo di avere qualcosa nell’altro, ma anche in se stessi. Di non essere soli, ma che comunque un po’ lo si rimane sempre. Che una relazione, per quanto bella, non risolve magicamente tutti i problemi. Che bisogna trovare la soluzione da sé, che non è facile.
È un finale dolce. È un finale
amaro. È un finale estremamente reale. E secondo me non poteva essere
diversamente.
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